foto di Ilona Ilyès
Fra l’AAB e l’ABAR – Associazione Bresciana Artrite Reumatoide (benemerita realtà che rivolge le sue attenzioni alle persone afflitte da una patologia insidiosa quanto diffusa) s’è stabilito fin da subito un rapporto di stima e fiducia reciproca. Merito della cordialità e franchezza dei rappresentanti di ABAR, ma anche della sensibilità artistica, della tradizione di iniziative di significativo valore estetico che caratterizza ABAR. Quando perciò ci è stato proposto di indire congiuntamente un concorso artistico, abbiamo accolto convintamente la proposta. Il titolo scelto, “Resilienze sconosciute”, è risultato poi particolarmente intrigante e suggestivo. Non a caso la vasta platea di artisti a cui ci siamo rivolti ha risposto in maniera convinta, corale, persino travolgente. Le 110 opere pervenute hanno messo in difficoltà la giuria costringendola a scelte selettive, spesso difficili e persino dolorose. Crediamo tuttavia che la scelta finale vada a comporre una mostra opportunamente varia per i linguaggi, gli stili, le generazioni rappresentate, e al tempo stesso compatta, coerente rispetto al tema proposto, capace di interrogare e indurre alla riflessione. Con questa iniziativa, una volta di più, AAB si conferma fedele alla propria storia, al proprio mandato, al proprio stile: intessere relazioni con le più diverse espressioni della società civile, esplorare i nessi fra l’arte e il tema del benessere delle persone, offrire suggestioni e una ribalta prestigiosa ai tanti, bravissimi artisti e artiste che rendono viva la nostra associazione e ricca di arte la nostra comunità.
Massimo Tedeschi
presidente dell’AAB
ABAR il 12 maggio 2021 ha voluto celebrare la Giornata Mondiale della Fibromialgia dando vita al “Muro della fibromialgia” per sensibilizzare la popolazione su questa patologia “orfana del riconoscimento formale e sostanziale da parte delle istituzioni”. “Il Muro della Fibromialgia”, composto da tanti messaggi delle malate è il simbolo di coloro che credono nella forza della comunicazione “contro l’indifferenza di quanti ostacolano o rallentano il percorso di riconoscimento di questa complessa e dolorosa patologia… il modo di ricreare legami, relazioni e speranze”. Il “Muro della Fibromialgia” è visibile presso la sede operativa della associazione in Viale Stazione 51 e raccoglie i tanti pensieri delle nostre associate. Convinti che questi pensieri possano essere espressi in opere pittoriche, grafiche, scultoree e video, nella consapevolezza che l’arte non è solo capace di rappresentare le emozioni ma può essa stessa essere parte di un percorso di terapeutico abbiamo avviato la collaborazione con AAB, Associazione Artisti Bresciani. Questa ci ha permesso di realizzare “Resilienze Sconosciute”, progetto che ha coinvolto iscritti AAB e soci di ABAR, al quale hanno risposto in tantissimi con opere di livello tale da rendere molto difficile il lavoro di selezione.
Rocco Furfari
presidente dell’ABAR
Dal dolore alla vita:
il potere trasformativo dell’arte
Laura Colombo
“Voglio un’arte di equilibrio, di purezza che non inquieti né turbi,
voglio che l’uomo affaticato, esausto, spossato, assapori davanti alla mia pittura la calma e il riposo.”
Queste parole di Henri Matisse introducono il tema di questa esposizione; l’artista, duramente provato da un cancro intestinale che ne mette a repentaglio la vita nell’aprile del 1941 e lo segna profondamente negli anni successivi, ci comunica la bellissima poetica della sua arte.
L’equilibrio di disegno e colore delle sue opere esprime profondamente l’essenza di un lavoro creativo che secondo Matisse è “il carattere di vita conferito all’opera d’arte…quello stesso fremito interiore di quella stessa bellezza risplendente, che posseggono le opere della natura…”
Non di dolore ci parla Matisse, il cui corpo era profondamente provato, ma di vita attraverso l’arte; è in questa direzione che si muove ora anche la scienza medica.
Il report del 2019 dell’OMS, stilato dall’Ufficio Europeo di WHO, World Health Organization, riferisce i risultati di oltre 3.000 studi sul valore terapeutico delle arti per quanto riguarda la prevenzione delle malattie, la promozione della salute, il trattamento e la gestione delle patologie, compreso le malattie croniche degenerative.
Attraverso l’oggetto d’arte, infatti, sia il creatore che il pubblico sono coinvolti in un’esperienza che implica lo stimolo dell’immaginazione, l’attivazione sensoriale ed emotiva, la stimolazione cognitiva.
Le attività artistiche possono ridurre lo stress connaturato alla malattia, attraverso l’espressione delle emozioni in una dimensione di interazione sociale, come quella nella quale si svolgono le attività artistiche, promuovendo l’empatia e le relazioni collaborative.
La resilienza alla malattia, infatti, passa attraverso l’unità inscindibile di corpo e mente e valorizza al massimo il potenziale di gestione della
patologia in una dimensione sociale e condivisa, secondo una nuova concezione della salute che l’OMS definisce “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non la mera assenza di malattia o infermità”.
La salute è concepita come un processo dinamico che ha al centro, accanto alla scienza medica, la capacità di autogestione della malattia da parte della persona.
Il benessere non è semplicemente assenza di malattia ma, più profondamente, implica la forza di affrontare e superare qualsiasi problema inerente alla condizione di fragilità.
Queste frasi di persone affette da fibromialgia, affisse sul muro della Casa per la Salute, sede di ABAR, Associazione Bresciana Artrite Reumatoide, sono un bellissimo esempio di trasformazione della malattia in un’esperienza che approfondisce ed espande in senso positivo la vita, cambiando il dolore in energia, per creare felicità.
“Abbi cura del tuo dolore diventerà luce e ti insegnerà a splendere” (Grazia Fibromialgica)
“…comunque amo la vita …amo me stessa e ancora di più questo mio fisico che tiene duro e mi permette di sorridere ancora, nonostante i miei limiti” (Roberta)
“Il sorriso splende sempre sul nostro viso, il nostro cuore, nonostante il dolore, è sempre aperto all’aiuto e alla comprensione di chi ci accompagna nel lungo viaggio della vita”
Possiamo considerare quindi l’arte una sorta di “farmaco emozionale” che attiva il potere di guarigione intrinseco alla vita, mutando la disperazione e la paura in una sfida coraggiosa.
Risulta significativo notare come istituzioni ospedaliere particolarmente sensibili al tema abbiano inserito accanto alle cure tradizionali, esperienze di creazione o fruizione di opere d’arte al fine di migliorare il benessere dei pazienti come l’Associazione dei Medici Francofoni del Canada; gli ospedali Humanitas in collaborazione con l’Accademia Carrara nel progetto “La cura e la bellezza”, il Policlinico di Milano e l’Ospedale Niguarda di Milano con veri e propri spazi dedicati.
Le opere selezionate nell’ambito del bando “Resilienze sconosciute” in un inscindibile intreccio di forma e contenuto ci parlano di trasformazione della sofferenza in energia vitale nella dinamicità della vita stessa, nel suo potere “germinativo”, nella sua capacità di costituire ogni istante come il primo di una condizione di armonia con se stessi e con e con gli altri.
L’arte in-con-tra la vita
Milena Moneta
“L’inverno è nella mia testa, ma un’eterna primavera è nel mio cuore”
Victor Hugo
La parola “resilienza”, una delle più pronunciate negli ultimi tempi e per questo forse un po’ usurata, non ha perso né la sua bellezza (anche fonetica) né il suo valore, esortando gli esseri umani a trovare in se stessi la forza di superare i traumi del vivere, le sue pressanti sollecitazioni, autoriparandosi con un cambiamento che eviti cedimenti e lacerazioni. ABAR – Associazione Bresciana Artrite Reumatoide e AAB – Associazione artisti bresciani sono convinti che l’arte, creata e fruita – per Valéry l’arte innesca due trasformazioni: quella che porta dall’autore all’opera, e quella che dall’opera porta al fruitore – possa essere essa stessa resiliente, un baluardo alla fragilità umana e alle sue défaillance, uno scudo contro le sconfitte; convinzione condivisa dagli oltre cento artisti che, veicolando la loro espressività con le tecniche più diverse, hanno partecipato al concorso “Resilienze sconosciute” indetto dalle due associazioni e tra i quali la giuria ha scelto la rosa dei finalisti in mostra e in catalogo.
Gli artisti, tra oli, acrilici, acquarelli, matite, dorature, garze e scatole, ricorrendo alla grafica digitale o a tecniche miste, a un logoro straccio capace di brillare, a cemento e lamiera, hanno prefigurato il male di vivere fatto di attesa (Bonazzoli) e combustioni, di equilibri precari sempre da conquistare con cautela (Barbieri, Savoldi), di fiacchezze (Cacciamali) e spigoli (Ferretti), di tempo che svapora via (Cantù Gentili, Uberti), di ferite (Fattoruso, Begni, Cattaneo), di metaforiche tempeste (D’Angelo, Garmash), mentre prende i connotati di un volto tumefatto o lacrimante (Bodei, Schivalocchi), di una deformazione (Viola), di giunchi che anelano alla luce (Santi, Sayed Alì), di una umanità sola, trafitta o claustrofobica (Marpicati, Formigoni), avvinta nei meandri della mente sotto minaccia (Rinaldi), in guerra.
La salvezza può arrivare da un abbraccio (D’Angelo), da mani che si sfiorano (Boselli), dalla danza leggera che vivacizza la notte della Leone, dall’infanzia che paradossalmente con caschetto militare corre su un monopattino rosa tra distruzioni belliche (Boshnakova) o che gioca innocente mentre gli adulti si dilaniano in drammi, dentro e fuori di sé (Arbosti), dallo spazio bianco carico di possibilità per l’umanità straziata dell’Ucraina (Gasparini), dal volo chagalliano degli angeli di Dall’Asta, dall’astrattismo colorato di Rota, dal barbone che si fa re (Mancuso). E ancora farfalle e aironi (Busi, Pivari), simbolo di trasformazione, la musica di Bosso (Franzoni), le onde di Morosini, l’anelito all’azzurro del cielo di Paracchini, le relazioni familiari (Nolli), l’esistenza dell’altro con cui sostenerci (Puglio), la rete relazionale (Bosio) o il silenzio per ritrovare l’armonia con il tutto (Archetti), la luce, elemento primo della pittura o il porsi una domanda (Vezzoli) diventano vie di fuga.
Nella sezione scultorea si passa dal fil di ferro che sboccia da legno e resina di Cerquaglia ai germogli di pietra di Alborghetti, dallo straccio consunto, ma brillante della Antonioli allo sgabello-gioco Jenga di Barberi che richiama nell’instabile precarietà la calma con cui affrontare le sfide, dai moduli scomponibili di Matrone, riaggregabili in incerto equilibrio ai cuori stilizzati di Polato, diventati Re e Regina di un gioco
che mette in pista il coraggio combattente, dalla argilla contorta e pronta a fiorire della Ferrari alla terracotta della Stefana che racconta una rinascita, al labirinto di Formenti su cui poggia un tempio.
Non manca un libro fatto a mano, fiore che profuma di amaro di Laura Mazzocchi e una video poesia che Elisabetta Ravi ha realizzato sui versi di un poeta novantenne già di per sé esempio di resilienza. Dunque la sofferenza si presenta variamente vestita – anche se non per caso assume spesso fattezze femminili per consapevolezza diffusa che toccano alla donne le ferite più lancinanti – a sottolineare la nostra fragilità e precarietà – del resto ci ricorda il poeta Arminio, “Se dopo il respiro / possa venirne un altro / non è cosa che sappiamo”, anche se “in fondo partecipiamo solo a pochi dolori: ogni giorno accadono sventure da cui siamo esentati” – ma anche una potenziale intrinseca forza: per dirla con la Dickinson, “non sapendo quando l’alba arriverà, tengo aperta ogni porta”.
Un’attenzione al “con”, all’altro, all’incontro, alla condivisone è forse la chiave per poter proseguire.
Riprendendo alla grossa la teoria estetica di Adorno l’opera d’arte si configura, al di là della specifica consegna tematica, come uno strumento di rottura di dell’esistenza, che consente di vincere il peso della quotidianità annunciando mondi possibili, l’eventualità di un’alternativa, pur senza realizzarla connotandosi così come una menzogna, di cui però abbiamo un estremo bisogno, facendoci sentire la nostalgia del bello, di una felicità altra dal peso irresistibile della realtà. Lo ribadisce Alessandro D’Avenia a proposito del Matto, l’artista ambulante del film “La Strada” di Fellini che in una scena indimenticabile consola la disperata Gelsomina aiutandola a trovare il sublime nel quotidiano, il bello stando nelle sue povere scarpe – “si fermò nelle sue / scarpe e si meravigliò” scriveva John Keats – “perché la bellezza, grazie alla gioia che provoca, fa sperimentare e sperare in una certa salvezza”.
Concluderei con una poesia di Cesare Viviani che sembra scritta apposta per noi: “La vita si fa una ferita / e tu con le dita / vuoi rimediare cucendo / attento che i margini / combacino”.